venerdì 23 ottobre 2015

Séraphine de Senlis



Katia Ricci

Séraphine de Senlis
artista senza rivali

Tufani 2015
€ 14,00

 
Séraphine de Senlis: artista senza rivali è il nuovo saggio (Luciana Tufani editrice) di Katia Ricci, storica dell’arte, appassionata nella ricerca della specificità femminile nelle arti visive e nella vita. “Che cosa desidero vedere che esprima qualcosa del suo e del mio essere donna?”, si chiede Katia, e questo approccio la porta a scrutare e a dare significati a dettagli che magari sfuggono a una lettura “oggettiva“ e comunque mettono in moto la sua soggettività.
Indagando l’interazione arte-vita, dopo l’impressionista Mary Cassatt, un’americana a Parigi, la donna che guarda, e l’inno alla bellezza delle splendide guache, sopravvissute allo sterminio nazista, di Charlotte Salomon, Katia Ricci ci fa conoscere, accompagnate da 48 belle immagini, le straordinarie e inquietanti opere pittoriche di Séraphine Luis (1864-1942). Una donna povera, orfana, non istruita, allevata in un convento di suore, poi domestica nelle case signorili di un piccolo paese della Francia settentrionale, Senlis, artista autodidatta, consapevole del suo essere artista e desiderosa di affermazione, che si autodefinisce mallard, senza rivali.
A dispetto dell’aspetto rozzo, goffo e trasandato, Séraphine ha dentro di sé sensibilità, gentilezza d’animo ed uno straordinario afflato con la natura della quale sa cogliere i fruscii, i sussurri, il farsi e il disfarsi, che sente di dovere esprimere sulla tela. La forma pittorica è insolita, non prospettica e verosimigliante, ma originale, con una sintassi tutta sua.
Chi le ha dato questo compito? Séraphine afferma: La Vergine Maria e gli angeli del cielo.
I compaesani e i datori di lavoro la deridono ma Séraphine prosegue, ispirata e consapevole, apponendo la sua firma a tutti suoi lavori fino al 1936, anno in cui fu tradotta in  manicomio. Da allora non dipinse più perché, diceva Séraphine, l’arte ha bisogno di libertà.
Commenta Katia Ricci: “L’arte era in realtà un modo per esprimere i colori della sua anima, la propria necessità, il proprio essere.”
Il desiderio che le viene dal profondo di esprimere questo suo mondo interiore visionario, nutrito dalla sua ispirazione, ma probabilmente non ignaro dei fermenti culturali e artistici di cui apprendeva ascoltando conversazioni o leggendo frammenti di giornali, la induce a grandi sacrifici, anche a privarsi del cibo, per procurarsi i materiali per dipingere, tele e colori costosi, che poi impasta con olio delle lampade votive, sottratto di nascosto, fango, erbe selvatiche e sangue animale, in un miscuglio noto solo a lei, con un effetto cromatico inconsueto.
Fiori, frutta, piante, alberi, sono i soggetti rappresentati da Séraphine, ma i colori sono insoliti e le forme, non decorative e facili, non naturalistiche, Natura Morta che non corrisponde in natura. Questo induce Katia a soffermarsi, nel cap. V, in una interessante riflessione sul “genere”, riprendendone l’origine dal fiammingo Still-leven, Vita immobile, e sul tempo in cui fiorisce, alla fine del rinascimento, con le prime crepe della visione antropocentrica, simboleggiata dall’uomo leonardesco. “Da allora, le donne ne approfittarono per esprimere una propria visione delle cose.”
Il percorso di Séraphine, scoperta da un importante mercante d’arte, critico e mecenate, Wilhelm Uhde, tedesco, ebreo ed omosessuale, la porta, sia pur con alterne vicende per il sopraggiungere della prima guerra mondiale, alla notorietà, al successo, all’agio.
“Fu questo a peggiorare il suo equilibrio mentale? Ad esagerare il suo disagio interiore? C’è un legame tra creatività e malattia mentale?” Arte e Psicosi è il capitolo (cap. II) in cui viene evocato il legame tra genio e follia ( in specie quella delle donne, da sempre marchiate come pazze se non rispondenti ai canoni maschili imposti), seguendo un filo che ha interessato molti studiosi, in particolare del '900, e, leggendo le opere di Séraphine, Katia commenta: “l’artista riesce a trasformare la rappresentazione di una pianta in un vivente perturbante senza differenze tra il mondo vegetale e il mondo animale: foglie come teste di uccello, bruchi come foglie, alberi che suggeriscono una visione apocalittica”.
In una lettera dal manicomio, descrivendo il suo tormento, Séraphine confida: “Bisogna che io dipinga, bisogna che metta fuori tutto ciò che è nascosto, là nella testa, alla punta delle dita, nella pancia, dove ciò fa sempre male. Bisogna donare la nascita… far nascere… Ecco perché io dipingo vasi sempre così grossi: Sono come dei ventri gravidi… Bisogna che i vasi abbiano grosse sporgenze, come una donna incinta…”. Sono le parole che Katia riprende e interpreta come una possibile chiave di lettura per comprendere il senso profondo di tutta la sua fantasmagorica e quasi caleidoscopica opera pittorica.
Un tuffo inquietante nell’animo femminile che Katia magistralmente ci aiuta a compiere per aiutarci a riemergere attraverso i flutti torbidi delle nostre vite. Un saggio ed una artista da scoprire.
Anna Potito

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