Marija Matios
Keller 2015
€15,50
Tutto il villaggio di Ceremosne pensa che Darusja sia scema, ma per non chiamarla scema la chiamano dolce. Questo perché se ne sta per conto suo, non parla con nessuno e vive come vuole.
Ma Darusja invece capisce tutto. La gente pensa che sia muta, ma non è così: è solo che lei non vuole parlare.
Solamente sulla tomba di suo padre tira fuori la voce, che è diventata un rantolo, ma c'è. Ci va sempre da sola, si porta pane, burro e brinza (formaggio prodotto dai pastori huculi) e nutre lo spirito del babbo per la paura che scompaia. Se lui non le parlasse più, anche lei perderebbe la voce per sempre. Nessuno sa che qui riesce ad aprire le labbra e a pronunciare la parola "Babbo!". Se qualcuno invece nomina la parola caramella, è assalita da un mal di testa feroce che le passa solo se si immerge nell'acqua gelata del fiume o si cala in una buca che ha scavato vicino a casa, e rimane in quel freddo fino a quando la morsa che le stritola il cranio si allenta. Dopo queste terribili emicranie si chiude in casa per giorni, senza mangiare e senza bere.
A un certo punto, arrivato chi sa come e da dove, compare a Ceremosne, Ivan Cvycok, che suona la drimba (scacciapensieri). Per vivere costruisce le drimbe e le vende nei paesi vicini girando per la Bucovina e la Galizia. È un tipo strano e un po' citrullo, pensano gli abitanti del villaggio, ma lui non è stupido. Una mattina, mentre spacca la legna nel cortile della vicina di Darusja, si accorge che anche lei ne è sprovvista. Bbussa alla sua porta, lei lo fa entrare e da allora si stabilisce in quella casa dove nessuno aveva mai messo piede, prendendosi cura di quella dolce creatura.
Allora Darusja portò Cvycok dal babbo al cimitero.
Con Ivan quella donna rimasta ragazza e sola da cinquant'anni, provò fremiti che il suo corpo non conosceva e una notte parlò: "I-va-n-ko!", e l'uomo capì che poteva essere curata e guarita. Ma la gente è invidiosa della felicità altrui... Le premure e le carezze di Ivan avrebbero potuto far ritrovare a Darusja l'amore che non aveva più conosciuto dal giorno in cui qualcuno le aveva offerto la caramella... ma non andò così.
La storia di Darusja inizia in realtà molto tempo prima, quando i suoi genitori, Michajlo e Matronka, erano vivi e si amavano. Ma la gente è invidiosa della felicità altrui...
All'inixio del XX secolo la Bucovina, un altopiano situato nei Carpazi orientali, apparteneva all'impero asburgico ed era, sopratutto nelle campagne, un tutto unico. I suoi abitanti, gli huculi, parlavano indifferentemente tedesco, rumeno, yiddish, ucraino.
Il 3 novembre 1918, terminata la Grande Guerra, la Bucovina settentrionale fu annessa alla neonata Repubblica Popolare Ucraina, ma quattro giorni dopo la Romania ne riassunse il controllo consolidando il proprio potere su quella terra e il rumeno divenne la lingua ufficiale.
Il secondo conflitto mondiale portò nuovi confini e terribili sciagure. Nel 1940 la Bucovina settentrionale divenne una regione sovietica e la popolazione rimase in balia di due potenze: la Russia staliniana e la Germania nazista, con cui la Romania si era alleata. A quel punto gli ebrei vennero uccisi e i tedeschi, presenti in Bucovina dal XVIII secolo, deportati in massa in Siberia.
Dopo la fine della guerra gli abitanti della Bucovina furono trasferiti a forza nelle miniere e nelle fabbriche dell'Ucraina orientale e della Russia centrale.
Oggi la Bucovina è divisa tra Romania (Bucovina del Sud) e Ucraina (Bucovina del Nord), ma gli huculi, diversi per tradizioni e cultura dal resto della polazione, stanno cercando di allontanarsi dalla Repubblica Ucraina.
In questa regione dove la Storia ha lasciato ferite sanguinanti, il dolore passa di generazione in generazione, e rimane impresso su ciascun individuo, come accade a Darusja, rimasta senza voce.
Marija Matios e nata nel 1959 a Rostock, in Bucovina, vive e lavora a Kiev. Nel 2012 è stata eletta in parlamento nelle file dell'Alleanza Democratica Ucraina.
Darusja la dolce ha vinto il Premio Libro dell'anno 2004 e il principale premio letterario ucraino, il Premio Taras Sevcenko, nel 2005.
marinella m.
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