Marceline Loridan-Ivens
Traduzione di Monica Capuani
Bollati Boringhieri, 2015
€12,90
Quando, nel 1944, Marceline viene portata a Drancy, insieme al padre, ha 16 anni. Da Drancy, il più importante campo di transito per gli ebrei catturati sul suolo francese, partono i convogli per Auschwitz-Birkenau.
Tu forse tornerai perché sei giovane, io invece non tornerò. Quella profezia si è impressa dentro di me in maniera tanto violenta e definitiva quanto la matricola 78750 sul mio avambraccio sinistro, qualche settimana dopo.
Lui sarà internato ad Auschwitz, lei a Birkenau che allora non era un'unica località: il primo campo era ai margini di una cittadina, il secondo in mezzo alla campagna.
Solo pochi prigionieri potevano circolare, ma un giorno un detenuto elettricista le recapita un biglietto di suo padre. Di quel biglietto che dimostrava che era ancora vivo, Marceline, per tutta la vita, ricorderà solo l'inizio, mia cara figlioletta, e la firma Schloime. Marceline passa da Birkenau a Bergen-Belsen e infine a Theresienstadt.
Oggi Marceline ha ottantasette anni e ancora conserva quel pezzetto di carta sporco e strappato da una parte, che allora le servì per continuare a sperare e vivere.
La profezia di suo padre si avverò e soltanto lei tornò. Quando arriva a Parigi sua madre non va a prenderla alla stazione, né la cerca all'Hotel Lutetia, diventato dopo la Liberazione il centro di smistamento dei sopravvissuti; sarà lei che le telefonerà più volte e, quando alla fine risponde, Marceline comprende dal suo tono di voce che il padre non è tornato a casa.
Fino a quando l'hotel la può tenere, Marceline rimane li, perché lì si può ancora sperare, mentre si ascoltano le storie degli altri, lontano dalla vita che dall'altra parte della strada chiedeva solo di riprendere, piena di silenzi, di assenti, di finzioni. La vita in cui tu non c'eri.
Ricordandole quanto è fortunata ad avere ancora una famiglia la mettono sul treno che la riporta a Bollène. Ma io ero aggrappata a te, cioè al nulla.
Anche alla stazione di Bollène sua madre non c'è, trova uno zio e uno dei suoi fratelli. A piedi e in silenzio si dirigono verso il castello di Gourden, che il padre aveva acquistato convinto che dalla Francia non sarebbe stato cacciato come dalla Polonia. In quel castello che viene loro confiscato la sera stessa dell'arresto, e restituito dopo la guerra, sua madre la accoglie senza calore. Era una donna generosa e irascibile che aveva sempre preferito i figli maschi alle femmine. Aveva lasciato che fossi tu a rappresentare per noi sia la tenerezza che l'autorità.
Quello che avrei voluto al mio ritorno era che mi trattassero come le orfane. Le avevano alloggiate al sanatorio, erano ancora insieme ed io pensavo a loro... quella era la mia famiglia.
Il documento ufficiale di morte di Szlhama Rozenberg arriva al castello il 12 febbraio 1948. Deportato da Drancy ad Auschwitz il 13 aprile 1944, di lì trasferito a Mauthausen e poi a Gross-Rosen. Nel 1948 sua madre si risposa.
Negli anni successivi Marceline per due volta cerca di togliersi la vita. Troverà serenità nel matrimonio con il regista Joris Ivens, del quale condivide la passione politica e l'impegno civile.
Ho vissuto perché tu volevi che vivessi. Ma spero, se la domanda (...pensi che abbiamo fatto bene a tornare dai campi?) mi verrà posta a mia volta un attimo prima di andarmene, saprò rispondere sì, perché ne è valsa la pena.
L'intensità di questo libro, scritto sotto forma di lettera al padre, ne fa una delle testimonianze più toccanti e forti sulla Shoah.
Marceline Loridan-Ivens (1928) è ebrea di origine polacca. Ha scritto e diretto il film La Petite prairie aux bouleaux, con Anouk Aimée, basato sulla sua esperienza di deportata. È stata attrice e scenografa in collaborazione con il marito Joris Ivens ‒ considerato uno dei maggiori documentaristi del XX secolo ‒ e autrice a sua volta di numerosi documentari. Da anni si dedica a raccontare la sua esperienza in tutte le scuole di Francia.
marinella m.
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