giovedì 26 novembre 2015

Darusja la dolce



Marija Matios

Keller 2015
€15,50





Tutto il villaggio di Ceremosne pensa che Darusja sia scema, ma per non chiamarla scema la chiamano dolce. Questo perché se ne sta per conto suo, non parla con nessuno e vive come vuole.
Ma Darusja invece capisce tutto. La gente pensa che sia muta, ma non è così: è solo che lei non vuole parlare.
Solamente sulla tomba di suo padre tira fuori la voce, che è diventata un rantolo, ma c'è. Ci va sempre da sola, si porta pane, burro e brinza (formaggio prodotto dai pastori huculi) e nutre lo spirito del babbo per la paura che scompaia. Se lui non le parlasse più, anche lei perderebbe la voce per sempre. Nessuno sa che qui riesce ad aprire le labbra e a pronunciare la parola "Babbo!". Se qualcuno invece nomina la parola caramella, è assalita da un mal di testa feroce che le passa solo se si immerge nell'acqua gelata del fiume o si cala in una buca che ha scavato vicino a casa, e rimane in quel freddo fino a quando la morsa che le stritola il cranio si allenta. Dopo queste terribili emicranie si chiude in casa per giorni, senza mangiare e senza bere.
A un certo punto, arrivato chi sa come e da dove, compare a Ceremosne, Ivan Cvycok, che suona la drimba (scacciapensieri). Per vivere costruisce le drimbe e le vende nei paesi vicini girando per la Bucovina e la Galizia. È un tipo strano e un po' citrullo, pensano gli abitanti del villaggio, ma lui non è stupido. Una mattina, mentre spacca la legna nel cortile della vicina di Darusja, si accorge che anche lei ne è sprovvista. Bbussa alla sua porta, lei lo fa entrare e da allora si stabilisce in quella casa dove nessuno aveva mai messo piede, prendendosi cura di quella dolce creatura.
Allora Darusja portò Cvycok dal babbo al cimitero.
Con Ivan quella donna rimasta ragazza e sola da cinquant'anni, provò fremiti che il suo corpo non conosceva e una notte parlò: "I-va-n-ko!", e l'uomo capì che poteva essere curata e guarita. Ma la gente è invidiosa della felicità altrui... Le premure e le carezze di Ivan avrebbero potuto far ritrovare a Darusja l'amore che non aveva più conosciuto dal giorno in cui qualcuno le aveva offerto la caramella... ma non andò così.
La storia di Darusja inizia in realtà molto tempo prima, quando i suoi genitori, Michajlo e Matronka, erano vivi e si amavano. Ma la gente è invidiosa della felicità altrui...
All'inixio del XX secolo la Bucovina, un altopiano situato nei Carpazi orientali, apparteneva all'impero asburgico ed era, sopratutto nelle campagne, un tutto unico. I suoi abitanti, gli huculi, parlavano indifferentemente tedesco, rumeno, yiddish, ucraino. 
Il 3 novembre 1918, terminata la Grande Guerra, la Bucovina settentrionale fu annessa alla neonata Repubblica Popolare Ucraina, ma quattro giorni dopo la Romania ne riassunse il controllo consolidando il proprio potere su quella terra e il rumeno divenne la lingua ufficiale.
Il secondo conflitto mondiale portò nuovi confini e terribili sciagure. Nel 1940 la Bucovina settentrionale divenne una regione sovietica e la popolazione rimase in balia di due potenze: la Russia staliniana e la Germania nazista, con cui la Romania si era alleata. A quel punto gli ebrei vennero uccisi e i tedeschi, presenti in Bucovina dal XVIII secolo, deportati in massa in Siberia.
Dopo la fine della guerra gli abitanti della Bucovina furono trasferiti a forza nelle miniere e nelle fabbriche dell'Ucraina orientale e della Russia centrale.
Oggi la Bucovina è divisa tra Romania (Bucovina del Sud) e Ucraina (Bucovina del Nord), ma gli huculi, diversi per tradizioni e cultura dal resto della polazione, stanno cercando di allontanarsi dalla Repubblica Ucraina.
In questa regione dove la Storia ha lasciato ferite sanguinanti, il dolore passa di generazione in generazione, e rimane impresso su ciascun individuo, come accade a Darusja, rimasta senza voce.

Marija Matios e nata nel 1959 a Rostock, in Bucovina, vive e lavora a Kiev. Nel 2012 è stata eletta in parlamento nelle file dell'Alleanza Democratica Ucraina.
Darusja la dolce ha vinto il Premio Libro dell'anno 2004 e il principale premio letterario ucraino, il Premio Taras Sevcenko, nel 2005.
marinella m.

venerdì 20 novembre 2015

Insieme per ‘dire’


Martedì 24 novembre 2015, ore 18
Libreria delle Donne - via Fiesolana 2B, Firenze

Persone Libro e Persone detenute
Insieme per ‘dire’

Conclusione del progetto
Leggere è un diritto? - Casa circondariale Mario Gozzini

Incontri fra scrittori e persone detenute dell’Istituto “Mario Gozzini”, Firenze


Leggere è un diritto? è un progetto promosso dalla LILA Toscana e dal CESVOT, ospitato nella sede della Casa circondariale Mario Gozzini
e che ha coinvolto,  nell’anno scolastico 2014-15, le persone detenute attraverso  un proposta di letture e incontri con autori.

Partners: Associazione Donne di carta - Persone Libro di Firenze; Associazione Fiesolana 2b; CETEC onlus (Centro europeo teatro e carcere); Fondazione Sistema Toscana; Associazione volontariato penitenziario onlus; CNCA – Coordinamento nazionale comunità di accoglienza; Comune di Firenze – Servizio Biblioteche; Robert F. Kennedy Human Rights Center; UCPI – Unione camere penali italiane.
Sostenitori: CEPELL – Centro per il libro e la lettura; Garante per i diritti dei detenuti a Firenze; Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Consulenza letteraria Casa dell'autore, Firenze.

lunedì 9 novembre 2015

Nel fiore degli anni



Più vecchie, più sagge, più felici

India Knight

Astoria 2015   
€ 17,50




Hai davati a te un intero terzo della tua vita. Non è una fine: è un eccitante nuovo inizio.

domenica 8 novembre 2015

Domenica 15 novembre, in libreria




Séraphine de Senlis
Artista senza rivali

Domenica 15 novembre 2015, ore 17.00

Conferenza di Katia Ricci, storica dell’arte, con proiezione d’immagini
Introduce Milly Mazzei





Con un’appassionata e amorevole lettura delle immagini di molte opere, Katia Ricci ricostruisce l’origine della presenza vitale e potente della natura nei quadri di Séraphine de Senlis (1864-1942), ne insegue la sensibilità e i turbamenti. Katia immagina l'infanzia dell'artista, delinea il contesto in cui visse, si interroga sulla spinta a dipingere che considera di natura spirituale. «L’arte era un modo per esprimere i colori della sua anima, la propria necessità. Dipingere per essere».

 
Ingresso gratuito fino a un massimo di 50 persone, prenotazione obbligatoria.
Ai soci Coop sarà applicato lo sconto su tutte le pubblicazioni esposte in libreria.

Info e prenotazioni
055 240384
eventi.libreriadonne@gmail.com

E tu non sei tornato


 
Marceline Loridan-Ivens

Traduzione di Monica Capuani

Bollati Boringhieri, 2015
€12,90



Quando, nel 1944, Marceline viene portata a Drancy, insieme al padre, ha 16 anni. Da Drancy, il più importante campo di transito per gli ebrei catturati sul suolo francese, partono i convogli per Auschwitz-Birkenau.
Tu forse tornerai perché sei giovane, io invece non tornerò. Quella profezia si è impressa dentro di me in maniera tanto violenta e definitiva quanto la matricola 78750 sul mio avambraccio sinistro, qualche settimana dopo.
Lui sarà internato ad Auschwitz, lei a Birkenau che allora non era un'unica località: il primo campo era ai margini di una cittadina, il secondo in mezzo alla campagna.
Solo pochi prigionieri potevano circolare, ma un giorno un detenuto elettricista le recapita un biglietto di suo padre. Di quel biglietto che dimostrava che era ancora vivo, Marceline, per tutta la vita, ricorderà solo l'inizio, mia cara figlioletta, e la firma Schloime. Marceline passa da Birkenau a Bergen-Belsen e infine a Theresienstadt.
Oggi Marceline ha ottantasette anni e ancora conserva quel pezzetto di carta sporco e strappato da una parte, che allora le servì per continuare a sperare e vivere.
La profezia di suo padre si avverò e soltanto lei tornò. Quando arriva a Parigi sua madre non va a prenderla alla stazione, né la cerca all'Hotel Lutetia, diventato dopo la Liberazione il centro di smistamento dei sopravvissuti; sarà lei che le telefonerà più volte e, quando alla fine risponde, Marceline comprende dal suo tono di voce che il padre non è tornato a casa.
Fino a quando l'hotel la può tenere, Marceline rimane li, perché lì si può ancora sperare, mentre si ascoltano le storie degli altri, lontano dalla vita che dall'altra parte della strada chiedeva solo di riprendere, piena di silenzi, di assenti, di finzioni. La vita in cui tu non c'eri.
Ricordandole quanto è fortunata ad avere ancora una famiglia la mettono sul treno che la riporta a Bollène. Ma io ero aggrappata a te, cioè al nulla.
Anche alla stazione di Bollène sua madre non c'è, trova uno zio e uno dei suoi fratelli. A piedi e in silenzio si dirigono verso il castello di Gourden, che il padre aveva acquistato convinto che dalla Francia non sarebbe stato cacciato come dalla Polonia. In quel castello che viene loro confiscato la sera stessa dell'arresto, e restituito dopo la guerra, sua madre la accoglie senza calore. Era una donna generosa e irascibile che aveva sempre preferito i figli maschi alle femmine. Aveva lasciato che fossi tu a rappresentare per noi sia la tenerezza che l'autorità.
Quello che avrei voluto al mio ritorno era che mi trattassero come le orfane. Le avevano alloggiate al sanatorio, erano ancora insieme ed io pensavo a loro... quella era la mia famiglia.

Il documento ufficiale di morte di Szlhama Rozenberg arriva al castello il 12 febbraio 1948. Deportato da Drancy ad Auschwitz il 13 aprile 1944, di lì trasferito a Mauthausen e poi a Gross-Rosen. Nel 1948 sua madre si risposa.
Negli anni successivi Marceline per due volta cerca di togliersi la vita. Troverà serenità nel matrimonio con il regista Joris Ivens, del quale condivide la passione politica e l'impegno civile.
Ho vissuto perché tu volevi che vivessi. Ma spero, se la domanda (...pensi che abbiamo fatto bene a tornare dai campi?) mi verrà posta a mia volta un attimo prima di andarmene, saprò rispondere sì, perché ne è valsa la pena.
L'intensità di questo libro, scritto sotto forma di lettera al padre, ne fa una delle testimonianze più toccanti e forti sulla Shoah.

Marceline Loridan-Ivens (1928) è ebrea di origine polacca. Ha scritto e diretto il film La Petite prairie aux bouleaux, con Anouk Aimée, basato sulla sua esperienza di deportata. È stata attrice e scenografa in collaborazione con il marito Joris Ivens ‒ considerato uno dei maggiori documentaristi del XX secolo ‒ e autrice a sua volta di numerosi documentari. Da anni si dedica a raccontare la sua esperienza in tutte le scuole di Francia.
marinella m.