lunedì 31 marzo 2014

La figlia dei ricordi



Victoria Hislop

Bompiani 2013
€ 19,50 euro





Dimitri Komnios nacque a Salonicco durante l’incendio che, nel 1917, distrusse gran parte della città. Suo padre Konstantinos era il più grosso commerciante di tessuti pregiati della città. Il fuoco, che distrusse il centro storico e i viali sul mare, non toccò gli edifici sulle colline, e fu qui, in via Irini al numero 3, che il piccolo e sua madre Olga andarono ad abitare nella modesta casa natale di Olga. Al numero 5 di via Irini vivevano gli Ekrem, una famiglia musulmana con tre figlie, e al numero 7 abitava la famiglia di Saul e Roza Moreno con i figli Elia e Isacco. Gli antenati dei Moreno si erano stabiliti a Salonicco dopo la cacciata degli ebrei sefarditi dalla Spagna e dal Portogallo nel 1492.
In via Irini si parlava greco, arabo e ladino, ma i ragazzi giocavano insieme e le tre famiglie si aiutavano come fossero state una sola.
Nel 1922, in seguito alla guerra greco-turca, i musulmani furono costretti ad espatriare, e furono rimpiazzati dai greci che, a loro volta, venivano espulsi dalla Turchia.
Su una delle navi che partirono dall’Asia Minore dirette in Grecia c’era anche la piccola Katerina Sarafoglou, che nell’ammasso di persone che cercavano di imbarcarsi perse la madre e la sorella. Salvata da un soldato greco fu affidata ad Eugenia, una donna che riuscì a prendere una delle ultime navi dirette a Salonicco.
Per un caso Eugenia, le sue due figlie e Katerina furono sistemate nella casa in via Irini che era stata degli Ekram.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale i ragazzi, che sono vissuti come fratelli in via Irini, sono ormai grandi. Katerina, diventata la più brava ricamatrice di Salonicco, lavora nella sartoria dei Moreno, che sarà confiscata dagli occupanti tedeschi, e Roza, Saul e Isacco deportati in Polonia, da dove non faranno ritorno.
Dimitri ed Elia si uniranno ai partigiani. Le vite dei protagonisti saranno influenzate anche dagli avvenimenti successivi: il colpo di stato dei colonnelli nel 1967, il ritorno alla democrazia nel 1974 e il terremoto del 1978.
Nel 2007 troviamo Katerina e Dimitri che, innamorati da sempre, sono ora nonni, e consegnano, di fronte al mare di Salonicco, la loro lunga storia al nipote Mitsos che dovrà decidere se tornare in Inghilterra, dove aveva studiato, o rimanere.
Il libro, che copre un arco di tempo molto lungo, riesce ad appassionare il lettore dalla prima all’ultima pagina con un intreccio riuscito tra le vicende dei personaggi e gli eventi storici realmente accaduti. Per chi ama i bei romanzi e le storie di famiglia.

Victoria Hislop ha lavorato nell’editoria, nelle pubbliche relazioni e come giornalista, prima di diventare scrittrice a tempo pieno. Vive nel Kent con la sua famiglia. Il suo primo romanzo, L’isola, pubblicato in Italia nel 2007, è stato tradotto in oltre venti paesi e ha ottenuto diversi riconoscimenti letterari.

marinella m.

domenica 23 marzo 2014

Il tuo nome sulla neve


Gnanca na busìa
Il romanzo di una vita scritto su un lenzuolo


Clelia Marchi 

Il Saggiatore, 2012
€ 12.00

 

ho scritto
il tuo nome sulla neve il vento là cancellato.
O’ scritto il tuo nome
sul mio cuore
e lì si è fermato


Clelia Marchi è una contadina del mantovano che per tutta la vita non ha fatto altro che lavorare. A sedici anni si innamora di Anteo, un bel ragazzo dagli occhi azzurri e a diciotto, lo sposa. È stato l’unico amore della sua vita e quando nel 1972, sistemati i figli, i due anziani potrebbero riposarsi e godersi l’affetto dei nipoti, a poco tempo dal loro cinquantesimo anniversario di matrimonio, Anteo muore travolto da un auto.

E io sono come una vite senza l’albero: perché dei due uno muore; una parte, poco una parte del suo corpo di chi rimane è già morto e non c’è altri dolori al mondo che à vedere il marito morire o il compagno della tua vita...

Clelia non dorme più e di notte comincia a scrivere perché è abituata a lavorare e ora scrivere è l’unica cosa che le da un po’ di consolazione.
Racconta della sua famiglia umilissima, della sua vita passata a lavorare la terra, quando si portava gli zoccoli anche d’inverno, quando si dormiva sui materassi riempiti di foglie di granturco essiccate e si mangiava pane e polenta, polenta e pane.
A un certo punto la carta che ha raccolto non basta più, e Clelia prende dall’armadio un lenzuolo del corredo e continua a scrivere sulla stoffa.
La sua vita da sposata, nella nuova famiglia, non è meno dura, le bocche da sfamare aumentano, ma Clelia e Anteo affrontano tutto insieme, piangono i figli persi e crescono quelli che restano.
Con il linguaggio semplice di una donna che ha fatto due classi elementari andando a scuola solo in inverno, Clelia crea quasi un arazzo. Traccia sulla stoffa linee regolari che vanno a comporre rettangoli per riempire tutto lo spazio utile, ma rispettando i margini decorati con nodi d’amore rossi. Clelia numera le righe per facilitare il lettore, ai due angoli pone due fotografie, la sua e quella del marito e dà un titolo al suo lavoro: Gnanca na busìa.
Nel 1985 il lenzuolo è completato e Clelia che vuole che il suo scritto sia letto si rivolge al sindaco del suo paese, Poggio Rusco, che la indirizza a Pieve S. Stefano, in provincia di Arezzo, dove da due anni è stato aperto l’archivio delle scritture autobiografiche degli italiani.
Nel 1992 viene pubblicato e diviene un caso editoriale.
Dell’archivio diaristico di Pieve, dov’è conservato, il lenzuolo di Clelia e Anteo è diventato il simbolo stesso.
marinella m.

domenica 16 marzo 2014

Le madri interrotte

 Affrontare e trasformare il dolore di un lutto pre e perinatale

Laura Bulleri - Antonella De Marco

Prefazione di Alessandra Kustermann
Franco Angeli 2013
€ 24,00

 
Un bambino minuscolo e potente attraversa le loro vite per lasciare un messaggio. Questo è il cuore della vicenda. La ferita si rimargina quando il piccolo essere, che non è più, svela ai suoi genitori il senso del suo veloce passaggio sulla terra. La ricerca può essere un viaggio interiore straordinario se i genitori interrotti riescono a superare il baratro in cui questo lutto li ha lasciati.

Questo libro ha il merito di affrontare uno degli aspetti della maternità oscuri e dolorosi, e per questo collocati in una zona d’ombra, nella quale si preferisce non entrare: la morte prenatale e perinatale.
Lo fa accogliendo i racconti di dolore di molte madri interrotte e dei loro compagni.
Le madri interrotte sono quelle donne che partoriscono figli morti, o che muoiono dopo qualche ora, o la cui gravidanza si interrompe prima dello scadere del tempo. I padri interrotti sono quegli uomini che devono farsi forti, soffocando quasi sempre i propri sentimenti, per soccorrere le loro compagne nel momento della perdita e affrontare le incombenze pratiche che un lutto porta con sé.
La morte di un figlio è un urlo straziante di dolore, è una ferita della carne e dell’anima, la desolazione e l’angoscia che lo accompagnano spesso non possono neanche essere dette.
Nel libro, ogni narrazione dei genitori ha inizio con La storia e si conclude con Il dono.
Ne Il dono, ogni madre e ogni padre racconta come ha trasformato il trauma in qualcosa di nuovo e di buono. Ed è qui che il libro è scritto non solo per coloro che si occupano, a diverso titolo, della maternità, ma per tutti, perché ognuno di noi, prima o poi, si trova di fronte all’esperienza della perdita in senso lato, e per continuare, deve trovarle un senso.

Laura Bulleri, giornalista e counselor, si occupa di comunicazione d’impresa e formazione. Ha pubblicato Sopravvivere alla coppia (1994), e due raccolte di poesie, Radici in Volo (2006) e Argilla Azzurra (2013).

Antonella De Marco, psicologa-pscicoterapeuta, è esperta nella cura dei disturbi post-traumatici. Specialista in psicoterapia ipnotica, ha una formazione in psicoterapia senso motoria. È autrice del libro di poesie Disegnare parole (2011).
marinella m.

domenica 9 marzo 2014

La porta



Magda Szabó

Einaudi, 2014
€  11,50





Cosa c’è oltre la porta di Emerenc? Perché non la apre mai a nessuno e riceve in veranda?
Emerenc Szeredás è la domestica della scrittrice e del marito. È una lavoratrice infaticabile e dispotica. Dotata di una volontà di ferro non prende ordini dalla padrona di casa; decide, secondo un suo sistema di valori e di regole, l’andamento della casa.  Ma è una donna per la quale amare gli altri è naturale, ed è animata da uno spirito di sacrificio che raramente si trova negli esseri umani.
La scrittrice, impegnata com’è nel suo lavoro, dapprima infastidita da questa donna così rude e autoritaria, ne rimane lentamente affascinata, fino a non poter fare a meno della sua presenza e del suo aiuto.
Emerenc è una donna sola: tutti la conoscono nel quartiere, ma nessuno sa niente di lei e del suo passato. È arrivata a Budapest dalla campagna, ma non si sa precisamente né quando né perché. L’unica cosa certa è che nessun regime l’ha piegata.
Una vita che Emerenc tiene gelosamente nascosta dietro quella porta, dentro la sua casa, interdetta anche a chi le dimostra affetto e simpatia.
Ma viene un giorno in cui la donna, che vuole lasciare le cose in ordine anche per il dopo, concede alla scrittrice il privilegio di farle oltrepassare la porta ed entrare, per comunicarle che l’ha nominata sua erede testamentaria. In quella cucina fiocamente illuminata, arredata con pochi ma antichi mobili, vengono alla luce molti dei dolori che hanno costellato la vita di Emerenc lasciando in lei ferite profonde e ancora vive; la scrittrice comprende che l’amicizia vera è quella che non abbandona, che sa aspettare, ascoltare e compatire.
Dopo tanta fatica e tenacia, il lavoro della scrittrice è riconosciuto pubblicamente, deve quindi presenziare a cerimonie ed eventi, ed è sempre più spesso fuori casa.
È freddo, Emerenc, che spazza la neve davanti agli edifici di tutto il quartiere, si ammala e si chiude in casa. Respinge per giorni e giorni l’aiuto che in molti vorrebbero darle, fino a quando, per il fetore che si comincia a sentire, i vicini capiscono che Emerenc deve essere molto grave, e abbattono la porta. Uno spettacolo nauseabondo si presenta ai loro occhi. Emerenc è riversa per terra tra gli escrementi dei suoi gatti.
In quel momento la scrittrice non è lì. Emerenc è sola in tutta la sua fragilità e debolezza, esposta allo sguardo di tutti. Portata in ospedale, in un primo momento si riprenderà, ma poi si lascerà andare, per sempre.

Ad Anna Uncini, con affetto e gratitudine infiniti, per non avermi lasciata sola quando toccò a me, di aprire la mia porta.

Magda Szabo è nata a Decebren, in Ungheria, nel 1917. È autrice di numerosi romanzi, drammi, raccolte di poesie. La porta è considerato il suo capolavoro.

marinella m.

martedì 4 marzo 2014

In Giappone, ancora



Amélie  Nothomb
La nostalgia felice

traduzione di Monica Capuani
Voland 2014

€ 14,00



Sedici anni dopo le peripezie raccontate in Stupore e tremori e in Né di Eva né di Adamo, Amélie Nothomb di nuovo in Giappone.

Per tradurre quanto abbia nostalgia dei miei anni di gioventù nel Kansai, sento l'interprete utilizzare il termine nostalgic invece dell'aggettivo natsukashii, che considero una delle parole emblematiche del Giappone ...
- Natsukashii definisce la nostalgia felice ... l'istante in cui la memoria rievoca un bel ricordo che la riempie di dolcezza. I suoi lineamenti e la sua voce esprimevano dispiacere, perciò si trattava di una nostalgia triste, che non è una nozione giapponese.

a.bu.


domenica 2 marzo 2014

Via Katalin




Magda Szabó

Einaudi 2009
€ 11,50




Irén, Blanka, Henriett e Bálint vivono tutti in via Katalin, a Budapest. Dalle loro case, una vicina all’altra e tutte sul lato destro della strada, si intravede un’ansa del Danubio.
Siamo negli Trenta del Novecento. Per i quattro bambini, e le loro famiglie, via Katalin è tutto il mondo. È qui che passeranno la loro infanzia, ed è qui che diventeranno adulti facendo fronte agli eventi imprevedibili e atroci che la guerra e l’antisemitismo, porteranno nelle loro vite.
Nasceranno legami talmente stretti da diventare l’unica vera ragione di vita, e sempre torneranno là, dove ormai, per i nuovi edifici costruiti, anche il Danubio non si vede più.

Nessuno aveva spiegato loro che la fine della giovinezza è terribile non tanto perché sottrae qualcosa, quanto piuttosto perché lo apporta. E quel qualcosa non è saggezza, né serenità, né lucidità, né pace. È la consapevolezza che il Tutto si è dissolto.
Ormai sapevano che la differenza tra i morti e i vivi è solo qualitativa, non conta granché, e sapevano anche che a ciascuno tocca un solo essere umano da invocare nell’istante della morte.


Magda Szabó (1917-2007) è considerata la maggior scrittrice ungherese del XX secolo. È autrice di numerosi romanzi, drammi, raccolte di poesie.
marinella m.