domenica 27 gennaio 2013

Wiera Gran, l'accusata




Agata Tuszynska

Traduzione di Margherita Botto 

Einaudi 2012
€ 20,00



Festival di Cannes 2002. Vince la Palma d’Oro il film di Roman Polański, Il pianista, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Wladislaw Szpilman.
Varsavia 1941. Al Café Sztuka, uno degli ultimi  locali rimasti aperti nel ghetto più grande d’Europa, Szpilman accompagna al pianoforte Wiera Gran che canta canzoni d’amore. La sua bellezza,  la sua voce conturbante e sensuale la rendono famosa, una stella.
Wladislaw Szpilman e Wiera Gran, a differenza dei loro familiari e dei loro amici, sopravvivono al nazismo, ma mentre Szpilman è conosciuto da un vasto pubblico, Wiera Gran viene dimenticata, quasi espunta dalla grande storia della Shoa.
Sulla testa di Wiera, che muore nel 2007 a Parigi, consumata dall’odio e dalla paura, intrappolata nel buio e nella sporcizia della sua casa, pende l’accusa di collaborazionismo
Lo Sztuka era frequentato da gente ricca, speculatori, spie e dalle stesse guardie della Gestapo: Wiera era brava e affascinante, la invitavano al tavolo e lei accettava.
Più tardi, insieme agli altri musicisti che si esibivano nel ghetto, anche Wiera sarà accusata di essersi venduta ai nazisti o almeno questa è  la voce che sarà fatta massicciamente circolare.
La scrittrice Agata Tuszynska, docente all’università di Cracovia, si mette sulle tracce di Wiera e la scova in quell’opprimente appartamento del sedicesimo arrondissement, devastata dalla paranoia ma ancora determinata a difendere la propria reputazione.
Nasce, tra le due donne, una rapporto fatto di fiducia e ostilità; Wiera racconta, grida, mostra foto, oggetti.
È tra quelle pareti anguste che nasce L’accusata, una lettura altra della vicenda di Wiera Gran.
Documentato con il rigore della storica, corredato da molte foto d’epoca, il libro di Agata Tuszynska  ci restituisce, insieme alla storia di questa grande artista, uno spaccato rimasto in ombra dell’interno del ghetto dove comunque bisognava avere un tetto sulla testa, per sé e per la propria famiglia, e placare la fame. La fame di pane, la fame che annientava e neutralizzava qualsiasi altra fame. La fame che solo l’arte riusciva a placare.

Agata Tuszynska, scrittrice e biografa, è nata a Varsavia nel 1957. Insegna Giornalismo letterario all’Università di Cracovia.

marinella m.

mercoledì 23 gennaio 2013

Addio a Roma



 
Sandra Petrignani

Neri Pozza 2012
€ 16,50




Roma tra gli anni Cinquanta e inizi anni Settanta. Le vicende personali e pubbliche di grandi personaggi s’intrecciano alla storia della giovane scrittrice Ninetta.
Sandra Petrignani dà voce e spazio ai protagonisti delle diverse forme di arte e cultura non solo italiana. Una galleria di ricordi aneddoti e pettegolezzi. Disegna storie di vita, di amore e di amicizia, nate rotte e ricomposte. Su tutti la severa e irriducibile Elsa Morante.
Divertente e nostalgico.

È forse il periodo più affettuoso e allegro della loro amicizia. Su Mamma Roma l’autore aveva delle perplessità per la parte della protagonista affidata ad Anna Magnani, magnifica come sempre, ma fuori tono rispetto agli altri interpreti del film, tutti non professionisti compreso Volponi nella parte di un prete. Furono tanti a notarlo, Elsa invece ‒ fintamente recriminatoria e dolcissima ‒ il 29 settembre del ’62 gli scrive: «Caro Pier Paolo bravo! Adriana ti ha telefonato, e tu invece t’eri già scordato che dovevi cenare con noi stasera, e te n’eri andato a Grosseto. Così adesso sappiamo che Grosseto è più bella di me e perfino dell’Adriana. Però ti perdono perché oggi ho visto Mamma Roma. Ti dico subito che non sono affatto d’accordo con Alberto e con altri recensori riguardo alla Magnani. Secondo me tutti quanti loro fin da prima avevano deciso che la Magnani doveva essere troppo fra gli altri personaggi, senza avere il coraggio di giudicare dai fatti. Invece, secondo me, la Magnani è splendida e la sua storia non potrebbe essere riuscita meglio […] Ti abbraccio anche se tu te ne infischi perché ormai io e Adriana sappiamo che di noi non t’importa niente». Bill Morrow era morto il 30 aprile di quell’anno, Moravia la sta lasciando per Dacia, ma il suo tono sembra quello di una persona che ha deciso di vivere e di sorridere.

Anna T.

martedì 15 gennaio 2013

Félicie de Fauveau



I bambini della Ginestra






Maria Rosa Cutrufelli

Frassinelli 2012
€ 18,50




È il 1° maggio 1947. Migliaia di persone, contadini, lavoratori, paesani, provenienti dalle campagne e dai vicini centri abitati, si radunano a Portella della Ginestra per celebrare la festa del lavoro.
Siamo in provincia di Palermo e il pianoro di Portella si apre come un punto d’incontro naturale tra il monte Pizzuta e il monte Kumeta, a metà strada tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello.
Ora l’Italia è una Repubblica e in Sicilia le prime elezioni regionali, svoltesi il 20 aprile, vedono la vittoria dei partiti della sinistra riuniti nel Blocco del popolo.
Dunque quel giorno a Portella scendono in tanti: uomini, donne, bambini, a piedi, in bicicletta, sui muli.
Ed è quella folla festante e inerme che Salvatore Giuliano ordina di massacrare dalle alture dei monti che circondano la spianata. Undici morti, ventisette feriti.
Tra gli spettatori della strage, muti e terrorizzati, due bambini, Lillo ed Enza. A lui i banditi uccidono il padre, lei li vede in faccia.
Chi aveva sparato da dietro le montagne e perché? Chi erano e in quanti erano?
I due ragazzi cresceranno condannati alla paura; la rabbia per l’ingiustizia, l’indifferenza, la menzogna che negli anni circonderà quella giornata li renderà duri come le pietre dalle quali partirono i colpi assassini.
Lillo va a stare a Roma, Enza rimane a Palermo, ma, anche da adulti, i bambini della Ginestra, rimangono uniti e divisi dallo stesso trauma. Per ritrovare la capacità di amare, di amarsi e di fidarsi, dovranno fare luce sul buio interiore che da quel primo maggio è calato dentro ciascuno di loro.
Un bel romanzo e un libro necessario per un Paese, il nostro, dove molte sono le morti sulle quali non si è appurata la verità e i cui responsabili non sono stati condannati.
marinella m.

venerdì 11 gennaio 2013

Anna Santoro




La nave delle cicale operose

Robin 2012
€ 18,00

 



Santoro rilegge la Storia attraverso un’ottica di genere, attenta alle relazioni, e, quasi evocando il non ancora (Bloch), mette in luce l’attualità del progetto politico femminista, insieme agli ideali di quanti continuano a credere nella possibilità di una politica che tenga conto dei corpi, dei desideri e bisogni. [...] L’ininterrotto flusso narrativo restituisce così la ricchezza degli anni 60/70 fra utopia, liberazione della parola politica, esplosione dei sentimenti, insieme alla complessità degli anni 80, con una scrittura che cerca di fermare sulla pagina fermenti e movimenti, perché l’oblio o il silenzio favoriscono l’inerzia dell’ordine esistente rispetto alle istanze sociali.
(Clotilde Barbarulli – Leggere Donna, n.157, ott.-dic. 2012)

Martedì 15 gennaio, ore 17,30, presso il Giardino dei ciliegi  (via dell'Agnolo 5, Firenze), presentazione del romanzo di Anna Santoro (Robin 2012). Con l'autrice, dialoga Clotilde Barbarulli.

L'iniziativa è organizzata in collaborazione con la Libreria delle donne di Firenze.

sabato 5 gennaio 2013

Le vacche di Stalin




Sofi Oksanen

Guanda 2012
€ 19.50





Silenzio per la vergogna e vergogna per il silenzio.
La vita di Katarina e Anna, madre e figlia, si svolge tra la Finlandia e l’Estonia. Tra i due paesi il Golfo di Finlandia che rappresenta molto di più di un confine geografico: da una parte l’occidente e il benessere, dall’altra un paese soggiogato all’Unione Sovietica di Stalin, dove il sospetto si insinua, come una serpe velenosa, nella vita delle persone fino a dubitare anche dei propri cari.
Katarina è una giovane estone. Innamoratasi di un finlandese, lo sposa e si stabilisce in Finlandia. Da quel momento la donna farà di tutto per dissimulare l’origine straniera, e imporrà alla figlia Anna la stessa tortura.
La vita di Anna sarà all’insegna dell’autocontrollo: si dovrà comportare sempre come una vera finlandese, non dovrà mai parlare estone, non potrà nemmeno accennare alle visite che, ogni estate, lei e la madre fanno alla nonna in Estonia.
Nell’immagine dei finlandesi, estone equivale a russo e per una donna ciò equivale a essere considerata una prostituta.
Costretta a negare, nelle apparenze, la sua appartenenza a due culture e a rinunciare alla lingua materna, che invece si porta nel cuore e nella memoria, la ragazza si rifugerà in un mondo tutto suo dove deciderà se amare e chi amare, se mangiare o vomitare.
Si ammalerà di bulissaremia, ovvero anoressia e bulimia insieme; convinta che la magrezza e la perfezione del suo corpo siano la chiave per essere accettata dagli altri, Anna conduce una vita fatta di eccessi, di silenzi, di paure e di vergogna.
Fa da sfondo la storia dell’Estonia: la lotta contro l’invasione russa e le deportazioni in Siberia, il grigiore degli anni ’70 e il crollo del comunismo.
Un libro duro, crudo, coraggioso, che ci aiuta a comprendere meglio ciò che è accaduto in quella parte dell’Europa, così tormentata e oggi così vicina.

Il titolo nasce da un aneddoto che risale ai tempi di Stalin che presentava la Russia come un paese dal suolo fertile e ricco di mucche da latte. Gli estoni deportati in Siberia, una volta tornati, raccontarono che là non c’era nessuna mucca, ma solo capre, che vennero chiamate “le vacche di Stalin”.


Sofi Oksanen è nata nel 1977 in Finlandia, ma è di origine estone. Le vacche di Stalin, suo romanzo d’esordio, è stato finalista al Runeberg Award, uno dei più prestigiosi premi letterari finlandesi.
Della stessa autrice è stato pubblicato in Italia La purga (Nordic Council Literature Prize, Finlandia Award, Runeberg Award, Prix Femina, The European Book Prize).
marinella m.

giovedì 3 gennaio 2013

I piatti più piccanti della cucina tatara



Alina Bronsky

Traduzione dal tedesco di Monica Pesetti

e/o 2012
€ 10,00



 
Riflettei per due giorni e cinque ore. Aminat aveva ragione: il mio problema era sempre stato volere troppo per gli altri. Non riuscivano a starmi dietro. In compenso però potevo realizzare qualsiasi cosa volessi per me.

Inquietante romanzo di una giovane autrice nata nel 1978 in Russia e vissuta in Germania dall’età di tredici anni. Alina Bronsky ci coinvolge con una storia crudele dal ritmo incalzante, che ha come sottofondo la negazione dell’identità culturale tatara nella Russia sovietica, la Russia post-sovietica dei primi anni Novanta, le difficoltà dell’immigrazione nella ricca Germania. Tre donne – madre, figlia, nipote – e molte storie. Narrazione impietosa, dove sfumature e sfaccettature dei rapporti familiari sono descritte in chiave tragicomica con grande acume psicologico e perfida ironia.

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