Herta Müller
Feltrinelli 2010
€ 18,00
Tutto quel che ho lo porto con me. Oppure: tutto quello che è mio me lo porto appresso. L’ho portato tutto, quello che avevo.
Il desiderio di scrivere questo romanzo nasce dal racconto della vita quotidiana del Lager, della deportazione del poeta Oskar Pastior, morto improvvisamente nel 2001, e dalle testimonianze di altri sopravvissuti rumeno-tedeschi. Nella postfazione al romanzo il rammarico di Herta Müller di averlo scritto da sola. Nei ricordi della sua infanzia ‒ sua madre trascorse cinque anni in un campo di lavoro forzato ‒ la deportazione è vissuta come tremendo tabù, testimone del periodo fascista della Romania: da ciò la necessità di documentarsi.
Attraverso gli occhi del diciassettenne Leopold i cinque anni vissuti da deportato.
1945. Leo è nella lista dei russi, una situazione accettabile, non aveva paura ma un’impaziente voglia di andarsene e una cattiva coscienza, … in un posto che non mi conoscesse. Il viaggio nel vagone bestiame è la presa di coscienza, quella notte forse non io ma la paura in me diventò improvvisamente adulta. La fatica, il disgusto, l’angelo della fame che gli insegna a mendicare. … Aghi di ghiaccio continuavano a nevicare nella pioggia, e noi eravamo lì nel nostro orrore, dentro e fuori di noi un silenzio mostruoso. … Anche il freddo glaciale, in cui non ci si può muovere, fila l’orrore e lo rende mite. Nella trance del congelamento mi arresi all’idea che mi fucilassero.
Gennaio del 1950, Leo ritorna a casa, al congedo dal Lager l’imponente paura della libertà . … Che qui a casa non può essere altrimenti perché tutto è rimasto con sé. Tutto tranne io. In mezzo alla gente sazia di casa la libertà mi dava le vertigini. … Il mio umore era instabile, addestrato al crollo e a un’angoscia animale, servile, il mio cervello bisognoso di sottomissione. Il mio ritorno a casa è una felicità storpiata … una trottola della sopravvivenza che a ogni sciocchezza si mette a girare.
A.T.
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