Fania Fénelon
Vallecchi 2008
€ 15,00
Lo diciamo subito. Questo libro è molto bello, ma ci provoca dolore. Ci fanno male persino le viscere mentre lo leggiamo, ma è per questo che deve essere letto. Leggere del patire di queste donne è l’unico modo che abbiamo per essere loro sorelle “nella memoria”.
Stretta al petto di quell’uomo, intono il ritornello della Marsigliese. La mia voce non è morta, posso cantare, sono viva. Il ragazzo è sbigottito. Portandomi in braccio, si precipita all’esterno, corre incontro a un ufficiale; come impazzito grida : - She sings! She sings! … L’uomo con il microfono insiste: - Per favore signorina, è per la BBC … Canto God Save the King. Gli occhi dei soldati si riempiono di lacrime… Canto l’Internazionale. I deportati russi lo riprendono in coro. Canto. Davanti a me, attorno a me, da ogni angolo del campo, reggendosi alle pareti delle baracche, si muovono ombre e scheletri. Si levano, si fanno grandi, sono grandi. Dai loro petti esce un fragoroso “hurrah” che dilaga, rotola e travolge tutto. Sono tornati a essere uomini e donne.
Fania Fenelon è una musicista: canta e suona il piano nei locali di Parigi. Ha poco più di vent’anni il 20 gennaio 1944, quando viene internata ad Auschwitz-Birkenau. È arrestata perché ha aiutato un amico che è nella Resistenza ed è mezza ebrea.
Una giovane polacca si prende cura di noi. I miei capelli lunghi. Raccolti in trecce: che massacro! Le forbici non recidono, strappano… poi a colpi di rasoio è la volta del cranio, delle ascelle, del pube: senza acqua, senza sapone, con una lama arrugginita.
Il 23 gennaio anche Fania viene scelta per far parte dell’orchestra femminile di Birkenau. Nel gruppo ci sono musiciste famose come Alma Rosè e giovani che appena strimpellano uno strumento.
L’orchestra deve suonare per rallegrare le SS e per accompagnare l’uscita e il rientro dal lavoro degli altri prigionieri. Percorriamo circa trecento metri attraverso le baracche, ci fermiamo per tenere il nostro concerto di fronte a una schiera di prigionieri immobili, in attesa di partire per il lavoro. Da tutti gli angoli del campo, le donne passano davanti a noi. Trovo il coraggio di guardare. Le guardo, devo guardare. Un giorno dovrò testimoniare.
Denigrate dalle altre prigioniere perché privilegiate, le ragazze dell’orchestra devono, per sopravvivere, piacere e compiacere la kapo e il comandante del campo. E la musica è vita. I mesi passano…
I tedeschi stanno perdendo la guerra, gli alleati si avvicinano. L’orchestra viene trasferita nel campo di Bergen-Belsen, dove, il 15 aprile 1945 entra l’esercito britannico.
Finalmente, insieme a Fania anche noi abbiamo gridato di gioia e cantato.
Non so se ho compiuto il volo che immaginavo. Volevo cantare, cantare le gioie e le pene del mondo. Per venticinque anni, di città in città, di teatro in teatro, sono stata felice di farlo e la felicità è stata profonda come l’immaginavo.
marinella m.
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