Dall'agosto 1942 Etty è internata a Westerbork, il campo di lavoro in cui trascorrerà oltre un anno prima di essere deportata ad Auschwitz insieme ai suoi genitori e a suo fratello Misha, e dove morirà il 30 settembre 1943.
Il primo passo qui riportato, scritto nel corso di una breve permanenza fuori dal campo di lavoro concessa per motivi di salute, è tratto dal diario, il secondo da una delle ultime lettere inviate da Westerbork.
Settembre 1942
In me non c'è un poeta, in me c'è un pezzetto di Dio che potrebbe farsi poesia.
In un campo deve pur esserci un poeta, che da poeta viva anche quella vita e la sappia cantare.
Di notte mentre ero coricata nella mia cuccetta, circondata da donne e ragazze che russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano silenziosamente, o si giravano e rigiravano – donne e ragazze che dicevano così spesso durante il giorno: «non vogliamo pensare», «non vogliamo sentire, altrimenti diventiamo pazze» –, a volte provavo un'infinita tenerezza, me ne stavo sveglia e lasciavo che mi passassero davanti gli avvenimenti le fin troppe impressioni di un giorno fin troppo lungo e pensavo: «Su lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca». Ora voglio esserlo un'altra volta. Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento.
3 luglio 1943, Westerbork
La miseria che c'è qui è veramente terribile – eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore s'innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare – e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non soccombere.
E sopravviveremo intatti a questo tempo.
C’era una volta?
2 mesi fa
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